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ANTONIO (Nino) MANCA









CORBEILLE












BRANI DI PROSA D’ARTE
O POETICA
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PREFAZIONE
Scorrendo la copertinasi sarà rimasti forse sorpresi nel costatare il genere di letteratura contenuta nell’opera che ricopre: “BRANI DI PROSA D’ARTE O Poetica”.
Per molti giovani suonerà una classificazioneassolutamente nuovama non è così.
Si riportaperciò quanto scrive l’erudito Teodoro Giuttaridirettore letterario di un’importante casa d’edizioni con una sua datata Milano22 giugno 2001:
“ … La prosa d’arte è nella tradizione della letteratura italianasoprattutto del Novecento.
Qualcuno all’estero afferma che noi italianipiù che grandi narratori (romanzieri)siamo appunto autori di prose d’arte che sono state definite anche elzevericapitoliavvisi della fantasiaframmenti eccetera. La gloriosa rivista letteraria La Ronda (1919-1923) si caratterizzò come la sede in cui si pubblicavano soprattutto le prose d’arte.
Qualcuno ha voluto trovare anche l’anno e l’atto di nascita della prosa d’arte: il 10 dicembre 1901 Alberto Bergamini pubblicò sul Giornale d’Italia un elegantissimo articolo con cui commentava l'opera Francesca da Rimini di Gabriele d’Annunziorappresentata per la prima volta il giorno avanti al Teatro Costanzi di Roma. Da allora in poi e fino ad una ventina d’anni fa la terza pagina dei giornali era riservata alle prose d’arte
che trattavano dei più vari argomenti culturalianche d’impressioni e stati d’animopersino di racconti. Tra i più celebri elzeviristi del secolo sono da ricordare Emilio Cecchi e Antonio Baldini. La parola “elzeviro”deriva da un elegante carattere tipograficocon cui si componevanoappunto sulla terza pagina dei giornalile prose d’arte. Il carattere Elzeviro deve a sua volta il nome agli Elzevier che erano una famiglia di stampatori olandesi.
Lei è dunque in buona compagnia con le sue prose d’arte e può vantare nobili ascendenti. L’ermetismoin prosa e in poesiama soprattutto in quest’ultima che lei non ama a causa della sua oscurità e indeterminatezza di contenutisarebbe anch’esso un discendente del componimento d’artecome d’altronde il realismo magicoil surrealismoed altri “ismi”.
Una delle tante caratteristiche della prosa d’arte sarebbe l’eleganza stilisticail virtuosismo del dettatoinsomma la complicata bravura e tensione … che non si può reggere per un romanzo intero e nemmeno per un racconto lungo. La prosa d’arte quindi dev’essere breve e preziosaelegante e tesacome una breve “suonata”.
Orase lo scopo primo non sta nell’utilità del raccontare ma nell’eleganza della prosa – il breve e prezioso momentol’assaggiolo scampolol’assolol’alzata d’ingegno e lo sfoggio di bravura – tutto questova a scapito del contenuto concretodel raccontodell’intrecciodella vicenda descritta a lungo. La prosa d’arte quindi spesso parla d’emozione sfuggented’astratta sensazioned’impalpabili sottigliezze della ragione e dello spiritod’allusioni estetichedi percezioni vaghe … e da qui all’ermetismo il passo e breve.
Lei e ioperò caro signor Mancasappiamo che le definizioninaturalismoromanticismoverismoermetismo eccetera valgono quel che valgonosono vaghe e generiche qualificazionie che ciascun autore od artista non si realizza onon si salva perché è un simbolista o un dadaista o un futuristama perché è riuscito ad essere se stessoad esprimersi in un modo suo singolaread essere insomma un uomo: ”a nessun altro somigliante”.
* * *
L’autoreancor prima d’essere esaurientemente edotto di quanto affermato sopracon suo articolo apparso su di una rivista letteraria avente il titolo “Prosapoesia oancheprosa poetica Per un riconoscimento” scriveva:
“Certamente nel progetto del primo grande Autorev’era la netta volontà di compiere le sue opere in un unico esemplare e … fu così per la Terraper il Cielo e per il Mare. Poi l’Autore popolò questi d’altre creature distinte nettamenteciascuna di loro in due “specie” diverse. Creò perciò l’uomo e la donnail giorno e la notteil bene e il male e queste distinzioni in una gamma infinita di varianti. Tra queste nacqueroanche la Prosa e la Poesia. 
Dalla perfezione si passò poi alla rigenerazione. Così non soltanto grazie a Lucifero si sovvertì l’ordine perfetto binariomaanche altre creature degeneraronospesso in meglio o in peggio. Si assistette così alla nascita d’esemplarieccezionalmente belli o bruttiintelligenti o idiotiammirabili o repulsivi eanche in tali casi sorsero innumerevoli varianti.
Non è accertatoperò che dal connubio di questi esseri così dissimili fra loronascano “discendenti”i quali ereditinoesclusivamente i geni dell’uno o dell’altro genitore. Non è rarainvece la nascita come la Flora insegnadi un ibridoincredibilmente delizioso. Così come il mormorio di un ruscellolo stormire delle foglieil sibilare del ventoil volo di un calabroneil tintinnare delle spade e lo sciabordio della risacca sono musica; anche lo sciorinare di parole piacevoli a leggersi e a udirsicapaci di suscitare o esaltare sentimenti o sensazionidal senso chiaro ed esplicito sono ad un tempoPoesia e Prosafiglie delle Muse e tali anche loro perché eredi di Zeus.
Ritengo perciòa mio modesto parere che questa felice unioneabbia diritto ad una posizione ufficiale nell’Olimpo delle Lettere come l’ebbe a suo tempo la Poesia Ermetica. Sempre se poesia questa possa definirsiconsiderata la nebulosità delle sue espressioni e l’arcano dei significati che costringono il cervello a strizzarsi inutilmentesenza peraltro riuscire a carpire alcun costrutto.
In sostanza un riconoscimento per la “Prosa Poetica” ...”.
Aggiungo fuori campo che nell’attesaessa possa collocarsi sia come prosa sia poesia. L’Autore
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PRESENTAZIONE
Non sempre vivendo in cittàsoffocata dal bollente asfalto o raggelata dal freddo cementosi ha la possibilità di raggiungere un rigoglioso campo verde o ubertoso bosco e di riempire un cesto di selvatici e per ciò ancor più splendidi fiori.
Non rimaneallora che ricorrere ai giardini della nostra memoria e a quelli di personaggi di tempi andati; ai quali per speciale e raro privilegio mi è stato consentito d’accedere e riempire la 
“CORBEILLE”
Non d’infiorescenzema d’apprezzabili rimembranze.
È ciò che tenterò di compiere non con usuali parolema in un linguaggio che chissà per quale arcano fenomenoio ho assimilato pur non avendolo mai favellatoperché di modafra l’altro in ambienti circoscritti dei primi decenni del secolo scorso; nei quali io non ho vissuto e neppure mai ho letto dei brani scritti allora in detto stile.
A chi scorrerà quest’opera che m’auguro sia apprezzataforse detto evento susciterà dello stuporema non certamente a me autore che più volte ha recepito messaggi concreti provenienti dal mondo del passato e dei qualiio riferirò nel testo di quest’opera ecome affermato nella prefazione che precedeil mio modo di scriveredefinito “Prosa d’Arte”era molto in voga per riportare sulla terza pagina dei quotidianitipo quellaanche del primo incontro della divina Eleonora Duse con l’immaginifico Gabriele d’Annunzio.
Si è già chiarito che il lessico del quale trattasi è il frutto di uno straordinario connubio fra Prosa e Poesia e racchiude in se il meglio delle due discipline letterariecon le qual puòfelicemente convivere. In tutti i casiun pregio esso può vantarlo: quello della chiarezza e comprensione dei contenuticontrariamente ad altre forme poeticheveramente “ermetiche” e che pure continuano a viaggiare sull’onda del successo e della fama.
L’Autore
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A DIANA

Non si èancora spenta nel Mondo l’eco della tua dipartita ed iovecchioche dovrei essere temprato dalle traversie della vita e non ti sono parente e neppure connazionalehoancora in gola un groppo e le lacrime a fior di ciglia.
Tante splendide parolesi sono spesegiustamenteper evidenziare i tuoi nobili sentimenti e la fame di vero amore che desideravi riceveremaanche donare.
Un amorealle voltesprecato e tradito il tuo.
Il tuo bel voltospesso tristetradiva un travaglio interiore che forse nessuno ha mai capito e che hai cercato di leniredonando agli altri quel che ti era concesso.
Con l’amorecercavianche la pace e la libertàcome per tutti gli esseri umani tuo diritto.
Quella pace alla qualeloronon concedevano treguapur di “sbatterti” in prima paginacome se tu fossi un mostro.
Quella libertà d’essere te stessa e non quella che ti si voleva imporre.
La tua intimità violata era una fonte d’oro per esseri senza limiti umani.
Questi ti hanno ucciso!
Tutto il mondo ti ha sacrificatoperché di te avevano fatto un mito ela Storia insegnache tanti personaggi eminentila loro fama l’hanno pagata a caro prezzo.
Tu rifuggivi la tuaperché volevi essere una donna comunecon pregi e difetti; in ogni modo sei stata coraggiosa per aver tentato di esserlo.
Tutto ciò che era normale per gli altriper te diventava eccezionaleanzipeggio: morboso.
Razionalmentecredo che io non riuscirò mai a giustificare tutto questo: dolce e fragile donna con un destino più grande di te.
Eri buona d’animo e non una “vamp” mangiatrice d’uomini.
Cercavisoltanto l’uomo giusto per te ebeffa della sortequando credevi di averlofinalmente trovato: hanno recisorepentinamente e tragicamentela tua e la sua vita.
In tutti i casi nonostante la tua cattiva stellasei stata madre di due stupendi figliche sapranno affrontare la vita con grinta e coraggio eloro ti ricorderannocon affetto e orgoglio.
È segno che non era segnato che tu trovassi la felicità nell’ingrata Terraperchéforse il Signore te l’aveva riservata nel Mondo dei giusti.
Insignito di Trofeo d’oro al Premio Letterario Nazionale ’01 “Armonia d’Amore sul Pentagramma del Cuore da Sette Note donate”. Dall’omonima Antologiapubblicata dall’Editrice H.S. 
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CARMELA

“ … Fui spinto dalla disperazione di guadagnare qualche soldoandai ad esercitare il mestiere di garzone in una bettola malfamatanella parte più vecchia della cittàin una costruzione umidapoco arieggiatainfestata da topi e scarafaggi e frequentata dalla peggiore feccia dei bassifondi.
Con ciò nonostante fu un’esperienza interessantedurante la quale io strinsi amicizia con i delinquenti più incalliti;
Dalla viva voce dei quali io udii narrare delle storie inverosimilimorbosetragichenelle quali il fattore miseria era di solito quel più rilevanteeppurein mezzo a quei malviventi io incontrai uomini eccezionalimagari con un deformato senso dell’onorecon un loro codice di comportamento basatosoltanto su questo.
Non ebbi mai a subire in quell’ambienteneppure la minima scortesia:
Io eroper detta genteun particolare tipo di “mascotte”;
Sarebbe stato sufficiente lamentarmisia pure del più piccolo torto subito eimmediatamente sarebbe stato fatto pagare a caro prezzo a chi l’aveva compiuto.
Di quel periodo mi è rimasto impresso nella menteil ricordo di una bambina di circa dieci/dodici anni d’etàmagra come un chiodocon i lunghi capelli scarmigliati.
I quali ricadendo sul lacero vestito di colore nero e sporco d’untorisaltavano più del dovutoapparendo ancora più biondi. Non doveva possedere molta dimestichezza con l’acqua e il saponeper la nettezza delle parti scoperte del suo scarnito corpo:
In particolare i piedi scalzi lasciavano molto a desiderare un po’ di pulizia.
M’informarono che era orfana di madre ed era la maggiore di una numerosa nidiata di figli che il padrequasi continuamente ubriacoaveva abbandonato a loro stessi ed alla carità del vicinato.
Accedeva al locale nel quale io lavoravointimidita dagli adulti che lo frequentavano ed impaurita dai brutti ceffi che vi notava.
Io me ne rendevo conto edallora l’accoglievo nella maniera più gentile possibileper evitarle l’imbarazzo edopo qualche giornopresi confidenza con lei:
Mi confidò che era il padre che la costringeva a recarsi nella lurida bettola per acquistarle del vino che eraormai diventata una droga per lui equando questa gli veniva a mancare e non aveva la possibilità di acquistarne dell’altrodiventava un mostro di cattiveria e sfogava le sue crisi d’astinenza picchiando a sangue coloro che possedevano la sventura di essergli figli.
Non mi riusciva sopportare l’idea di quello sparuto e minuto corpogià troppo tribolato dall’esistenza che conducevamassacratoanche dalle botte dello snaturato genitore;
Era questo il motivoanche se entrava nella bettola per acquistare un misero quartino di vinone usciva sempre col fiasco pieno: più bevanda possedeva il babbo meno botte prendeva lei e i fratelli! L’andazzo andò avanti per un bel po’ di tempopoi l’irregolarità che commettevo fu scoperta dal proprietario del locale e fu un beneperchéspontaneamente io confessai il motivo che mi aveva spinto a derubarlo tutti i giorni di un po’ di vino;
Il padrone della bettolanonostante la sua non onorata professioneera un uomo di buon cuore e vantava amicizie altolocatealle quali forniva il miglior vino esistente sulla piazzas’adoperò per far sì che la tragica esistenza di quei bambini avesse termine.
Non rividi più Carmelacosì mi pare la chiamassero:
Lei e i fratelli furono ospitati in istituti dell’assistenza pubblica;
I qualianche se non rappresentavano la soluzione idealegarantivano loroalmeno un tenore di vita decente.
Nell’eventualità ti ricordassi ancora di me:
Ciau Carmela! … “(Dal volume autobiografico “La Bestia Nera” – inedito)
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GALOPPO

“ … Nei momenti che i pensieri angosciosi si rendono maggiormente opprimenti io mi reco dalla mia giumenta e in groppa a questa mi lancio in folli galoppatesui verdeggianti pratisui sassosi sentierisulle battute e dure pisteper erte ascese e ripide discese;
In pericolose gimcanefra i fusti di piante secolari negli ombrosi boschile basse fronde dei quali mi scudisciano il volto.
Nel salto d’alte siepi di recinzione e di grossi arbusti di rovi che graffiano le manile braccia e il volto;
Nel guado di fiumi e torrentisfidandoalle volte violente e pericolose correnti acque che la generosa cavalla è costretta a percorrere a nuoto.
Alti si levano allora gli spruzzi e gli schizzi acquei che m’infradiciano completamente.
Corro sinché l’aria sferzante non mi schiaffeggia il voltomi scompiglia i capelli e non mi stordisce; finché le forze di reggermi in sella non si esauriscono … “.
(Tratto dal mio romanzo inedito “Fil de Fer”
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GLI EMIGRANTI

“ … Erano scene desolanti quelle che presentarono ai loro occhi.
Dagli abiti che vestivanodai loro bagagli contenuti in fragili scatole di cartone o in valigie dello stesso materiale pressatomolte tenute chiuse con dello spagosi notava la povertà di quella genteche magari aveva venduto ogni sua proprietà.
Tantisoltanto in copertasotto fatiscenti tendoni stesi su corde tese fra due pennoni dai caritatevoli marinai di bordo;
Neonati mocciosi che frignavano in grembo alle loro mammeche li cullavano dondolandoli sulle ginocchia o braccia.
Alcune tentavano di zittirli offrendo i capezzoli dei seni scarsi di lattecom’era stato il loro cibo;
Bimbi che dormivano in braccio a congiunti di maggiore etàalcuniaddirittura per terra su giacche rivoltate e per cuscino un maglione o una gonna arrotolata.
Visi sparutiaffranti di ragazzi edi fanciulleche avevano lasciato alle spalle luoghi cari eanche qualche piccolo e immenso amore;
Volti preoccupaticotti dal Sole e incisi dalle intemperie di rudi uomini di campagnapoveri di benima ricchi di coraggio.
Gabriele e Silvano che credevano di vivere una vita gramaa quella vista si ricredettero e si reputarono ben fortunati … “.
(Dal mio romanzo “La Rosa Vermiglia – Gruppo EdiCOM – Cerro Maggiore (MI) – ottobre 2000)
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IL DISTACCO

Era un triste pomeriggio senza Sole.
Dal grigio cielo scendeva una fitta e insistente pioggia.
Tutto in sintonia col mio fanciullesco animosgomento e angosciato.
Sedevo inerte sul sedile di un’anonima corriera che doveva condurmi lontanoin un altro paese da una sconosciuta zia; neppure un estraneo accanto: solo col mio cocente dolore!
Era la prima volta che io m’allontanavo dai miei genitori e ciò mi causava uno strazio tremendo.
La pioggia che scorreva sui vetri dell’autobusformava delle gocce simili alle lacrimeche sgorgavano silenziose dai miei occhi.
Fu un viaggio da incubo.
Mi attendeva una grassa arpia che m’incutete subito una profonda soggezione.
Dueinterminabili anni durò la vita da “cane bastonato”lasciando il mio animo segnato e ipersensibile ad ogni contrarietà o dispiacere.
Troppo io soffrii.
Insignito di Trofeo d’oro al Premio Letterario Nazionale “01 “Armonia d’Amore sul Pentagramma del Cuore da Sette Note donate”. Pubblicato sull’omonima antologia della Casa Editrice H.S.
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IL PASTORELLO

“ … Il periodo peggiore è quello della nottequando si dorme con un occhio ed un orecchio sì e l’altro no.
I goccioloni della pioggia paiono voler spaccare le tegole.
Il muggire del vento che s’infila nella canna fumaria pare il lamento d’anime dannate.
Il più completo silenziosuscita anche lui pauraperché sembra irreale e pare di sostare sotto una cappa di piombo sospesa a mezz’aria.
L’abbaiare o il latrare dei cani scuote i nerviperché non si conosce se rivolti a dei malfattoriad una volpe ladra o ad uno stupido coniglio.
In compenso vi è il privilegio per chi pascola il gregge o la mandria su di un pianoro che s’affaccia sul mare con alte scoglierela dove il Sole s’inabissa in essod’assistere ad incomparabili e stupefacenti spettacoli:
Tramonti costituiti da una fantasmagorica ridda di vividi colori edal lato oppostola rosea corona dell’aurora.
Udire:
- Lo sciabordio della risacca che bacia la
Spiaggia;
- Il fragore delle onde che si frangono
Contro gli scogli
Ammirare:
- Magnifici e multiformi scogli che sembrano capolavori d’arte astratta;
- Splendidi e deserti isolottiaffioranti come iceberg dei Mari del Nord. Piccole e graziose insenature che paiono intessute di fantastici merlettinei quali la pace regna sovrana.
- Avere il reverenziale timorequando il mare in burrasca scaglia violente ondateche sembrano magli demolitori contro le rive e le coste che spesso sollevano montagne di bianca schiuma.
- Godere la brezza che ti sfiora il volto come una dolce carezza.
- Sentire le violente folate del vento che ti avvolge il corpo come un caloroso abbraccio che pare volerti staccare dal suolo e farti volare.
- Percepire la sensazione unica d’essere libero di correre come un cavallino brado.
- Saltare come una cavalletta;
- Ridere fragorosamente.
- Cantare come un usignolo;
- Fischiare come un merlo.
- Nuotare come un pesce.
- Non ubbidire a veti di persone o a restrizioni di mura;
- D’essere libero come lo sguardo che viaggia negli spazi infiniti …”.
(Dal mio romanzo “Terra Bruciata” Editrice Nuovi Autori di Milano –
Ottobre 1998)
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IL RICCO E IL POVERO

Un austero e aristocratico palazzodimora di gente blasonataun artistico portale.
Un vasto androneornato di stucchi di gessochiuso in fondo da una pregevole cancellata di ferro battuto che delimita la rimessa per la carrozza o l’auto e la carbonaia.
In questa sul cumulo del combustibilesono adagiate due biciclette per bambinirare a quei tempi: sembrano abbandonateperché stanno sempre lì nella stessa posizione.
Tutte le volte che entro in quell’androneper andare a trovare la zia che funge da governanteda quando è deceduta giovanissimala mamma proprio dei padroncini delle bicimi soffermo estasiato davanti ad esse e mi si strugge il cuore dal desiderio di possederne una (sono conscio che quest’aspirazione non potrà mai essere esaudita dai miei genitori poveri).
Doposalgo l’ampio scalone sino all’appartamento dove lavora la zia; bussoquesta apre la portami bacia e mi conduce in cucinadove dei buoni odori di cibo m’accolgono. Superfluo affermare che mi si forma l’acquolina in bocca: ho una fame da lupi.
È il mezzogiorno ed io potrò mangiare a casa miasoltanto un po’ di pane e companatico eforsea cenaquando rientrerà il babbo dal lavoroun piatto dianche se di saporita minestra e basta. Fortunatamente rimedia a sfamarmi la cara zia con tanti ghiotti bocconcini equando sto per lasciarlaio la supplico ancora di chiedere ai suoi padroncinicoi quali io non sto in confidenza ecostatato che non le usano piùdi regalarmi una delle due biciclette.
La zia non vi ha mai sentito da quell’orecchio econ mio gran disappuntoaltrettanto è sordoanche questa volta (continuai a desiderare una bici per annisinché non mi recai a compiere il mio dovere di soldato ecol primo stipendio di neo sergentepoteifinalmente coronare il mio sogno).
Ci si chiederà perché narro questa storia.
Risponderò: per dimostrare quantoalle volte sia strana la vita.
Il padre dei padroncini delle bici era un famoso avvocato penalista di nobile casato; in politicaperò si professava un puro socialista e un fervente antifascista.
Il tenore della sua vita e dei figliperò non era certamente quella di un proletario: delle cose materiali non mancava loroproprio nulladell’istruzione anche (conseguirono una laurea).
Mio padrepur vantando nobili originiera un modesto operaio eiosuo figlioil vero proletarioche ha patito la miseria e la fame e non ha avuto impartita alcun’altra istruzione oltre a quell’elementarel’altra se l’è procurata da solo. In ogni casoperòse sono stato povero di beni materialiin compenso ne ho avuto morali e spiritualiquali l’amore della mammagli insegnamenti della religione e il loro supportola libertà di giocare per stradavera palestra di vita. Beni che i ciclisti non hanno posseduto o sono venuti loro a mancare.
Forsesono statipur possedendo un oggetto da me tanto bramatopiù poveri e infelici di me.
Mi spiego così perché da adulti siano diventati due grandi esponenti comunisti ed iosia rimasto cattolicoanche se un po’ tiepido praticante.
(Inedito)
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IL SENSO DELLA SEDUZIONE

“ … Gradatamenteda sotto le vestiche appiattivano le formesbocciarono le armoniose curve di una splendida donna;
I capelliprima compressi in un cappello basco di colore bluriemersero vaporosi e una cascata di riccioli dorati che si riversò sul collo e sulle spalle tornite e vellutatedi un piacevole incarnatoleggermente ambrato come tutta l’epidermide del corpo perfetto e sanonon macchiato da un neo o un’efelide.
Le braccia affusolate e tornitenon erano magrema leggermente rilevate all’altezza dei bicipitiesercitati a tenere a freno i cavalli tirando le briglie;
Il seno non era prorompentema un vero capolavoro della naturagiustamente proporzionatoturgido e sodo s’ergeva appuntito come una pera acerba o come una coppa di champagne senza stelorovesciata e poteva essere contenuto in un palmo di mano atteggiato a mo’ di conchiglia.
Il solco della sua schiena liscia era diritto come una riga e alle sommità non si notavano antiestetiche scapole sporgenti come piccole ali;
Sui fianchipur essendo magri non si contavano costole.
Al centro del piatto ventrel’ombelico appariva come un delicato bocciolo di rosa;
Il suo giro di vita si poteva misurare con i palmi delle mani.
I fianchi levigati e vellutatiavevano all’incirca la circonferenza del suo petto. Al centro del bacinoil pube prominente era ricoperto da minuscoli riccioli del colore dell’infiorescenza simile a quella di una pannocchia di granoturco.
Le lunghe cosceleggermente scavate all’internoavevano i muscoli un po’ più sviluppati del dovutoforse a causa del lavoro che effettuavano nel cavalcare; lo stesso si poteva osservare nei polpacci.
Nel complessoperòle gambe diritteerano ben modellate e ammirevolisormontate posteriormentedal fondo della schiena; le natiche del qualesode e rotondeggiantisporgevano il giusto tanto per capire che appartenevano al sesso femminilema la parte più graziosa eracertamente costituita dai minuti piedicome quasi quelli di una piccola cinese.
La crisalide di poco prima si era trasformata in farfalla … “.
(Dal mio romanzo inedito “Fil de Fer”)
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IL TRENO DEI BAGNANTI

Sbuffi violenti di vapore acqueo;
Un penetrante odore di zolfo.
No! Non è un drago!
È il treno per Portotorresa prezzi popolariper i bagnati sassaresi in tempo di guerra.
S’immaginerà un convoglio normale come le regole prescrivono?
Ci si sbaglia! Perché le Ferrovie dello Stato avevano confuso degli umani cittadini con delle mansuete bestie:
Forse il governo italiano di alloraaveva voluto adeguarsi a quello dell’alleato tedesco che con quei mezzi trasportava civili persone ai campi di concentramento e sterminioinfattidei rustici e puzzolenti carri destinati al trasporto d’animali attendevano sui binari e accolsero a bordo gli individui alla ricerca di refrigerio e d’evasione dagli orrori della guerra: tutti in piedis’intende.
Iniziò il viaggio e subito fu preso il primo bagno … di sudore.
In ogni modopoiché l’uomo e la bestia più adattabile all’ambientein meno di quanto s’affermitrasformò quella stalla viaggiante in … sala da ballo e cabaret.
La musiva non difettava per merito d’alcuni strumenti al seguito dei passeggeri; qualcuno s’improvvisò attore o cantante e sollazzò la compagnia con barzellette e canzoni.
Non mancarono i corianche se di tanto in tanto s’interrompevano a causa dei paurosi sbandamenti e improvvise e brusche frenate del trenoche facevano finire i coristi gli uni addossati agli altri: in ogni modoil tuttopresto divenne un gioco.
Il secondo bagnodi sudore s’intendesi prese sotto il solleone nella marcia di trasferimento dalla stazione ferroviaria alla spiaggiaa piedi e distante alcuni chilometri.
Poifinalmenteun vero bagno nell’acqua.
Si trascorserougualmente ore di spensierata allegria e poi … il terzo bagno degli umori corporei che fuori uscivano dai pori dilata dalla calura nella marcia di ritorno alla stazione.
Infine … quarta bagnaturanel tardo pomeriggio da eccessiva traspirazione entro i carri destinati al rientro a casadiventati nel frattemposimili a forni crematori per la lunga esposizione al Sole.
Così la similitudine teutonica espressa avanti era completa.
Ciò nonostantenel viaggio di ritorno non abbandonò quella gentela stessa spensieratezza e allegria dell’andata.
Non si ritiene che da quel che s’è narrato se né possa trarne una moralespecialmente quando non si può ottenere quel che si desidera?
(Dal quotidiano “La Nuova Sardegna” di Sassari in data 19 marzo 1998)
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IL TRENINO DI MONTAGNA

“ … Con violenti sbuffi di vapore acqueo e un penetrante odore di zolfocontenuto nel carbone fossile per mezzo del quale si muovevaquel treno iniziò ad inerpicarsi sui fianchi della montagna.
I paesaggi che caddero sotto lo sguardo di Gabriele e Silvanofurono stupefacenti perché d’incomparabile bellezza: c’erano pendici ariderocciosedove i binari correvano rasenti ai cigli di profondi e scoscesi burroni.
Dal lato dei finestrini dov’erano sedutinon vi era che il vuoto ed ebbero la sensazione di stare sospesi per aria;
Altre volte il treno procedette fra strette golenaturali e artificialile pareti delle quali parevano coricarsi addosso alle carrozze; quando poi il convoglio superò i ponti a cavallo di piccoli corsi d’acqua che scendevano dalla montagnaebbero la sensazione di compiere un salto in avanti.
Attraversarononei siti meno ripidi folte e lussureggianti selvei rami e le foglie delle qualinon permettevano ai raggi solari di filtrare. Nelle zone pianeggianti non mancarono d’incontrare rigogliosi prati verdi eanche la fauna si lasciò ammirare senza timoreperché da quel treno non gli avevano mai sparato contro.
Fu un alternarsi di questi affascinanti paesaggiassolutamente inediti per i due lacustri; i qualiammiratiavvertirono di meno il trascorrere del tempo …”.
(Dal mio romanzo “La Rosa Vermiglia”- Gruppo EdiCOM – Cerro Maggiore – (MI) – ottobre 2000)
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LA BUFERA

L’urlo del vento che pare ululato di lupi affamati;
Lo sbattere di persiane come delle porte richiuse con rabbia.
Lo scrosciare della pioggia simile allo scorrere d’acqua versata da un sottile tubo di gomma su di una lastra in lamiera
Il brontolio del tuono come il boato di un vulcano in eruzione.
L’abbaglio del fulmine come una lampada da “terzo grado” accesa all’improvviso.
Il miscuglio degli elementi scatenati è come il mio animo composto di rabbialivorevendettaodiorancore e ribellione per le amarezze e le ingiustizie della vita.
Il mio spiritoallorafugge dal corpo angariato e si dissolve negli elementi scatenati;
Con questi investe uominianimali e oggetti; sferzandoliscuotendolipercuotendoli e infradiciandoli.
Gradatamente la furia scemas’acquieta e il mio animo si placa; ritorna il Sole sulla Terra e la pace nel cuore:
Forseanche la quiete ha necessità d’essere scossaper non rassomigliare troppo alla rassegnazione e all’oblio.
(Inedito)
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LA CASTELLANA

“ … Silvano era stato uno dei primi ad accorrere sul luogo del ritrovamento.
Aveva ancora bene impressa nella mente la figura di un’ancora giovane donnabiondaseduta per terra ai piedi di una quercia secolare col capo appoggiato al fusto;
Sembrava la statua di una Madonna di cera nell’atteggiamento di tenere sul grembo il corpo appena sceso dalla croce del Cristo e che sosteneva con le sue braccia il capo del figlio sul quale aveva reclinato il suo.
Potevaanche essere l’espressione di una che sta per perdere la sua amara vita e offre se stessa alla Morte Liberatrice;
Indossava una lunga veste biancachiusa sul davanti da una fila di bottoni dorati.
Vestiva un corpetto azzurroricamato con fili d’oro e d’argento;
Sul capo aveva fissato con degli spillonisulla crocchia dei capelliuno di quei fazzoletti bianchiinamidati e ricamatitipici delle donne lombardegiuste le sue origini.
Aveva le spalle coperte da un grande scialle nero di lana lavorata a mano con ai bordi delle lunghe frange;
Ai piedi calzava delle scarpine chiuse dall’alta allacciaturacon mezzo tacco.
Quelle piccole mani affusolatequasi diafane; i tratti delicati del suo volto di un perfetto ovaleanche se scavato e smuntopotevanocertamente appartenere ad un capolavoro d’arte scultorease non fosse stato per un particolare difficilmente imitabile:
Il rivolo di sangue coagulato che fuoriusciva da un angolo della sua minuta bocca eche andando a cadere sulla nivea veste vi aveva disegnato … una rosa vermiglia …”.
(Dal mio romanzo “La Rosa Vermiglia”
Gruppo EdiCOM – Cerro Maggiore (MI) – ottobre 2000)
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LA CHIESA DI S. PIETRO IN SILKI

Mi ricordo quando da bambinouna vecchia zia si recava da te a pregare e mi conduceva con se.
Era quasi una gitaperché t’ergevi nel bel mezzo del verde agroattorniata da rigogliosi orti e ammirevoli aranceti;
Or sei quasi in città e pregevoli villette residenziali sono sorte alle tue spalle.
Nei secoli passatiil sito ove tu sorgiera posto vicino ad un luogo denominato “Su Rennu” (Il Regno”nel quale s’affermava si riuniva la corte degli antichi regnanti;
Chissà dov’è sparito ora quel luogo?
Sei famosa perché depositaria di un “condaghe” (raccolta) comprendente antiche carte e documenti storici ufficiali).
Or buone strade conducono al tuo piazzale con i suoi vecchi e grandi alberi cherecentemente ha guadagnato in ampiezzaove sostano i fedeligli ospiti della contigua casa di riposoa godersi la tranquillità che vi regna.
Sin da quando si varca la soglia del tuo atriosi ha netta la sensazione della quiete e della pace che albergano fra le sue mura.
Entrandodi fronte non puoi omettere di ammirare il pregevole e vecchio altare di legno doratole nicchie del quale custodiscono diverse statuepure lignee. La luce soffusa che filtra dai lucernariforma un'atmosfera mistica che libera l'anima dalle angustie che l’opprimono e non si può evitare di meditare e si vorrebbe restare lì per sempre; i volti distesi dei frati che transitano silenziosipaiono ispirareanche loropace e fede: ora capiscoperché un mio lontano parenteJacopo Manca e sua moglieMargherità di Castelvy vollero essere sepolti nella tua cappella della Madonnina delle Graziela prima a sinistra per chi entra.
(Dal quotidiano “La Nuova Sardegna” di Sassari del 3 giugno 1998)
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LA MORTE DI MARIETTE

“ … Era l’identica e splendida mattinata di quando avevo rinvenuto Mariette semi svenuta nella piccola veranda della sua casa che il Soleanche quel dì come ha scritto un famoso poeta “inondava di luce e di calore”.
La vecchia contessa stava in lettodal quale non si levava più da qualche giorno; appena entrai nella dimoracon un soffio di voce mi chiese:
“Senti! Mio caro Antoine … tu devi aiutarmi a vestirmi decentemente: attendo la visita di una rispettabile signora … la riceverò in veranda”
Vestì gli abiti miglioriv’appuntò i suoi pochi gioielli; con mani incerte e gran fatica si pettinò e si truccò.
La sostenni sino al locale indicato e l’accomodai su di una vecchia sedia a sdraioin pieno Sole.
Rivolse il volto nella direzione del caldo e splendente astro e … chiuse gli occhi.
Dapprima credetti si fosse addormentatama poi un dubbio atroce m’assalì; io la chiamai più voltela vecchia donnaperò non mi rispose: la minuta e gran Mariette … aveva lasciato questo mondo!
Chiunque accede al soggiorno della mia casa in campagnanon può evitare di ammirare sulla mensola del caminettoun prezioso e antico lume a petrolio: oltre al meraviglioso e indelebile ricordo non mi è rimasto altro di Mariette Lanfon-Manca. Le sue spoglie mortali riposano ora nel monumentale Cimitero di Parigiaccanto a quelle del padreconte e del maritostalliere … “.
(Dal mio romanzo inedito “Fil de Fer”)
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LA PARTIGIANA

“ … Quell’apparente fragile donna che pur avendo vissuto in lungo negli agi della privilegiata nobiltàma che non aveva mai disdegnato di dividere il duro lavoro dei campi con i contadini dipendenti; la quale aveva sempre preferito vivere all’aria apertanon tardò molto a adattarsi all'aspra vita alla macchia.
Questa comportava rifugi di fortunanottate all’addiacciointere giornate sotto i raggi del Soleche trasformavano in fornaci le buche del terreno nelle quali si nascondeva;
D’alimentarsi sporadicamente quando si aveva la possibilità di procurarsi del cibomagari sottraendolo al nemico.
Di bere e lavarsi le parti intimecon le sempre gelide acque dei ruscelli o delle fonti di montagna;
D’avere addosso non più soffice biancheriadi fini tessutima al meglio di grossolano lino o grezza lana che le irritava la delicata pelle.
Di calzare grosse scarpe chiodatetroppo ampie per i suoi piedini eaffinché questi non vi danzassero dentrolei imbottiva di stracci: le pieghe dei quali formavano vescichepiaghe e calli;
Di sopportare le screpolature alle mani e i geloni ai piediprovocati dalle temperature gelide o le ustioni procurate dal ghiaccio bollente o dalle rocce infocatenonostante i guantiche però doveva togliere perché non consentivano la presa sugli appigli per issarsi o calarsi su da erte o ripide pareti; di dover restare continuamente con i sensi vigili al fine di non essere sorpresa dal nemico.
Di riconoscereimmediatamente qualsiasi fonte di rumore e percepireanche il più lieve fruscio.
In compenso poteva bearsi delle incomparabili visioni che soltanto la natura offrecome quella del roseo alone dell’auroradei fantasmagorici colori del tramonto;
Dei picchi nevatiche s’elevano al cielo come una lode al Signore. Dai quali i dardi del Sole traggono scintille simili al luccicare di lame d’acciaio.
Delle corone di roccia ghiacciatabrillanti come diamanti;
La dolce quiete dei laghetti sulle superfici dei quali si specchianocivettuole le sagome delle montagnedei pinidegli abeti e delle betulle circostanti.
Il mormorio chiacchierone dei torrenti e dei ruscelli;
Il sinuoso scorrere del fiumea volte placidoaltro impetuoso.
Il Restaresdraiata sulle rive di questodalla corrente del quale lasciare travolgere e trascinare via i tristi pensierisotto la protettiva chioma di un albero secolare;
L’intimità di un bosco che suscita senso di protezionema anche di timore per le insidie che nasconde.
Le vaste distese di verdi pascoli che infondono col loro coloresperanza.
Le ampie estensioni di vigneti che col tono rossastro dell’autunno provocano tristezza per l’inverno incombente.
Ammirava l’incomparabile spettacolo della primavera che rasserena lo spirito e rallegra l’animo con l’aprirsi delle gemmelo sbocciare dei fiori e il rispuntare delle foglie caduche;
Rinascevaallora in lei la certezza di rivedere i campi solcati dai cingoli dei terribili panzerricoprirsi di bionde spighe;
I frutteti ridondare di carnosi e succulenti frutti.
Gli alberi ammantarsi di miriadi di foglie e la travagliata patriafinalmente … LIBERA … “.
(Dal mio romanzo inedito “Fil de Fer”)
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LA RACCOLTA DELLE MESSI

“ … Quanta differenza fra l’arida scena dei giorni nostricol quasi sacro rituale dei tempi andati.
Di quando i mietitoricome disciplinati soldatisi schieravano in riga su di un lato del campo rigoglioso di bionda messe e di conserva procedevano menando le affilate falci:
Sembrava un saggio ginnicoanche se la fatica era tantail Sole gli abbrustoliva e il sudore colava a rivoli sui volti asciutti e abbronzati.
Ecco! Perché il pane era sacro e non se ne sprecava neppure una briciola equando cadeva per terralo sì raccattava e non lo sì riponeva sul desco se prima non erareligiosamente baciato in segno di deferenza e preziosità. Il “trattamento” che ricevevano quegli uomini non eracertamente dei più umani: una parca colazioneun frugale pasto esoltanto di sera un’abbondante e sostanziosa cena.
Ci si recava poi a dormirespesso all’apertosulla paglia dei gambi dei covoni ai quali prestavano la guardia.
Eppurecon tutto il disagio che sopportavano pazientiil buonumore non difettava loro con cantilazzi e battute spiritose.
Appresso ai mietitori andavano le spigolatriciche non percepivano paga ed erano retribuite con la metà del grano ricavato dalle spighe ricuperate e sfuggite alle falci.
I dorati covoniman manoche erano confezionatisi trasportavano coi carri trainati dai buoi sull’aia: un lembo di terreno sul quale affioravano delle spianate rocciose; qui erano triturati dagli zoccoli dei grossi quadrupedi.
S’otteneva così un miscuglio di chicchidi pula e di paglia: queste ultime due erano fatte portare via dal ventosollevando l’insiememediante pale di legno; il grosso degli steli che ricadeva era separato dal resto con dei grossi forconi a tre o cinque punte.
La trebbiatura era peròanche una festacon tripudio di giochicanti e danze.
L’era delle macchineha sollevato l’uomo dall’onore della faticama gli ha tolto del lavoroil qualeanche se non adeguatamente retribuitoha accresciuto la miserial’ha ridotto meno rassomigliante ad una bestia e sempre più simile ad un robotmasoprattutto ha accresciuto l’opulenza dei ricchi … “.
(Dal mio romanzo “Terra Bruciata“ – Editrice Nuovi Autori – Milano – anno 1998)
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L’ASTORE

“ … Elegante e potente il vascello “L’Astore”scivolava deciso con tutte le sue vele gonfie dalla gradevole brezzache spirava da poppasul mare appena increspato da piccole ondeincupite dalle profonde tenebre della notte.
Il silenzio a bordo era rottosoltanto dal cigolio dell’asse della ruota del timone;
Dallo sciabordio delle salate acque che erano fendute dalla prua dello scafo e che tentavano di ricongiungersi nell’infima parte delle murate.
Le sole luci di posizione e della timoniera erano accese;
Sul resto del ponte era buio pesto.
Soltanto il lampione dell’ufficiale di guardia ne rischiarava ogni tanto con brevi intervallima con rapida successionele parziali superfici che lo componevano.
In quella navebattente bandiera spagnolama orgoglio della marineria sarda che l’aveva costruitavi era qualcun altro che vegliava:
Era un uomo nell’attesa eil crudele e disumano gesto che stava per compiere gli impediva di chiudere gli occhi … “.
(Dal mio lungo racconto storico inedito “Don Diego)
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LA TELEVISIONE

Sin da quando sei apparsa non hai combinato altro che scombussolare la mia vita;
Per comprarti ho contratto dei debiti a scapito di benimolto più necessariquasi indispensabili.
Hai stravolto la mia vita matrimonialeappropriandoti i momenti più intimi di questa;
Mi hai tolto sonno e riposo.
Mi ritrovoforsead avere interrotto la mia progenie
Scusa s’è poco!
M’avresti resose non mi fossi accorto per tempo i figli “tele video dipendenti” in maniera irreversibilecome una droga.
È vero che hai aperto una finestra sul mondo!
Ci tieni infornati sulla storiasulla politica e lo sportsulle scienze e la fisica e così via enumerandoma quanti “rospi” di spot pubblicitari dobbiamo ingoiare in cambio?
Certamenteanche tu non lavori per niente!
Non vantarti troppoperòperché influisci negativamente sui minori e sulle persone labili.
Forse non ci rendiamo contoma tu ci condizioni: sei diventata una droga legalizzata!
Chi afferma che hai reso la vita migliore?
A quante sane attività e manifestazioni personaliespressione d’alti valori morali e intellettuali tu hai rubato lo spazio? Spesso non ci consenti termini di paragone.
Non nego che tu debba esisterema renditi almeno meno invadente. Troppe idiozie e insulsagginisono propinate.
Ci servi troppo cibo riscaldato eforse sarestianche meno invisase accettassi le critiche.
(Inedito)
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L’AVELLO

“ … Le tenebre all’esterno sono profonde;
A stento sono riuscito a addormentarmi ed ecco! Ineluttabile come la morteaffiorarecome tutte le notti un enigmatico sogno:
Mi vedo pregare al cimiterodavanti ad una sconosciuta tomba.
Un giorno mi reco a deporre dei fiori sul sepolcro dei miei genitori e di una sorelladipartitasi ancora fanciulla e a pregare in suffragio delle loro anime.
Appena io varco il cancello del sacro luogomi rivisita la mente il ricorrente sogno;
Ho molto tempo a disposizione e decido di dedicarmi all’irrazionale ricerca della strana tomba che turba i miei sonni;
Sospinto da una forza misteriosami avviodeciso in una determinata direzione e io seguo un tragitto per me inconsueto.
Non percorro molta strada e raggiungo il vecchio cimitero monumentale e lìincredibile! Proprio davanti agli occhiad un tratto appare la tomba … “dei miei sogni”tale e quale come me l’ha vista nei viaggi onirici:
Un piccolo recinto di ferri arrugginiticon due lapidi fissate ad un vecchio muro di separazione;
Ciascuna delle lastre di marmo contieneanche un ritratto ovale di maiolicariproducente un bel giovine e una graziosa fanciulla: le effigi sono ancorasufficientemente nitidenonostante i molti anni trascorsida quando quel tipo di ritratto era di moda.
È evidente che la sepoltura è da troppo tempo che non riceve manutenzione e cure; mi procura meravigliaanzi di come non è stata espropriatadi solito dal Comune per abbandono.
Quel che m’impressionaprofondamente sono … i nomi e i cognomi scolpiti sulle lapidi: quello mio e di un’altra sorella vivente.
Dopo la visita agli altri parenti defuntiacquisto in un chiosco adiacente al camposanto dei fiori che io depongo sulla strana tomba e sulla quale recitoanche delle preghiere.
Sono ritornatoqualche altra volta presso quell’avello ed ho pregatonuovamente per le anime di coloro che vi erano stati sepolti.
Dopo qualche tempo il sonno non è più ricomparso.
Forse i miseri restiche giacevano in quella tomba erano di lontani parentidi un ramoprobabilmente estinto della mia antica e numerosa casata e in questo mondoeroforse l’unico e più prossimo congiuntoancora vivente o chissà per quale altra arcana ragione;
In tutti i casiero sempre uno nel quale circolasseancora lo stesso sangue che era scorso nelle loro vene e io fossi capace di captare il bisogno di preghiereche non doveva essere certo consistenteconsiderata la giovane etàper espiare qualche colpa e goderefinalmente la visione del Signore con la pace eterna. Oracertamente quella tomba non esiste piùespropriata per mancanza di cure che le vicissitudini della vita non mi consentirono di attuare come desideravo … “.
(Dal mio romanzo inedito “Fil de Fer”)
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LA VENDEMMIA ANTICA

Il tempo del solleone che ha maturato le uve è trascorso.
L’aria s’è fatta più frescaidonea a sopportare meglio le fatiche campestri. Il cielo va riempiendosi ogni giorno di più di nuvole pellegrine:
Presagio dell’approssimarsi del malinconico autunno.
È tempo d’apprestarsi alla vendemmia.
I grappoli rubicondivermiglidorati e perlaceiche brillano per la carezza della rugiadasono un invito imperioso ad essere colti e spremuti.
Una mattina la vigna riecheggia di vociper lo più di giovani che gridano e cantano.
S’anima di un andirivieni di gente che taglia e trasporta i raspi carichi di scintillanti acini.
Nella gran tinozza occupano posto delle giovani donneche a piedi nudi e tiratesi su le lunghe gonnesaltellando calpestano le uve:
È un’occasione unica per i maschi di poter ammirare gambe femminili nude e perciò accorrono numerosi.
Le ragazze danzanti paiono voler trasmettere al futuro vino tutto il brio e l’allegria che esternano.
Nel frattempo gli uomini che spremono i raspi e le bucce con un monumentale torchioazionato da una grossa vite lignea senza finesembrano voler imprimere all’atavica bevandaforza e vigore.
È un rito che si ripete da qualche tempo immemore. Il mostoinfineper un periodo variabile è posto a fermentare e a maturare in botti di buon legno … “.
(Dal mio romanzo “Terra Bruciata” – Editrice Nuovi Autori – Milano – anno 1998)
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LETTERA AD ANNA

La seguente lettera non avrà bisogno d’affrancaturaperché viaggerà soltanto sulle ali del pensierosenza mai giungere a destinazione.
* * *
Quanti anni sono trascorsi da quandofanciullo e innamoratosostavo con gli altri spasimanti delle di te sorelleanche loro splendidesotto le finestre di casa tua?
Tanti!
Attendevo che ti affacciassiper sentire il mio cuore battere all’impazzata e per ricevere da te un segno di saluto che mi rendeva veramente felice.
Qualche volta sei uscita apposta per meda solacome nella canzone di Morandi “a prendere il latte” e tutte le volte la mia gran timidezzaunita ad una forte emozionem’impedì di accostarmi a te e di dichiararti l’immenso amore che bruciava il cuore e l’anima: ti seguivo a distanza.
Di tanto in tanto voltavi il capo indietroquasi come muto invito a raggiungertima io non sono mai riuscito a vincere le sensazioni che m’inibivano.
… e fu un brutto giorno per mequando non sei apparsa più alla finestra!
Ti rividi qualche tempo doposeduta su un verde pratoall’imbrunirecon un ragazzomano nella manomaggiore d’età e più esperto di me.
Il giorno che ti sposastiio sentii un artiglio strapparmi il cuore e mi “maledissi”per non aver saputo osare.
Non so se sei stata felice accanto ad un uomo di scarsa cultura e non certo di gentili maniereio so soltanto che hai molto sofferto per un figlio giovinettoschiavo della droga.
Non ti rividi per lungo tempoma un giorno per necessità di un documento indispensabile alla vendita della casail cui ricavato avrebbe soddisfatto il vizio del tuo eredesei venuta nel mio ufficio: invecchiatastanca e affrantama sempre bella.
Il mio cuore riprese a battere freneticamente come se il tempo si fosse fermato all’epoca della giovinezza e una vecchia ferita che credevo rimarginatariprese a sanguinare.
Invanoho cercato di rivedertima … io credo che tu ormai sia scomparsa per sempre dalla mia vita: di te mi è rimasto soltanto il rimpianto.

Forse un domani codesta missivadopo lungo silenzio nel buio di un cassetto d’antico mobileavrà nuova lucemagari fra le mani di una nipotina curiosona che la leggeràrimanendo forse sorpresa delle “romanticherie” di quel suo vecchio e burbero nonno.
(Da: “Raccolta Poetica 1999 – L’Umana Misericordia da Sette sue Opere Confortata – Editrice H.S. Cav. Helèna Solaris – Caronno Pertusella (VA) – ottobre 2000)
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LO ZIO OVIDIO

Nel notare nel cuore della notte un’ombra vagare per i deserti sentieri di campagnanon vi spaventate!
Non è un’anima in pena che sconta pregando le sue colpe!
È lo zio Ovidio!
Senza dubbio il suo orologio bionico non funziona a dovereperché non rispetta i fusi orari:
Dorme quando dovrebbe vegliare e veglia quando dovrebbe dormire;
Qualche voltaconcilia i suoi orari con quelli dei comuni mortalisoltanto però il tanto necessario per sbrigare gli affari.
A zio Ovidio non serve molto il lettoperché è sufficiente uno sgabello per sedersi e lo spigolo di un tavolo per appoggiarvi il capoin modo da schiacciare un pisolino che lo ritempra come se avesse dormito a lungo.
Nelle ore della nottenelle quali è sempre destoil suo cervello è una fucina d’idee e di piani strategici;
Programma le giornate come un generalele sue battaglie e quando qualcosa non cammina per il verso da lui volutos’arrabbia e strepita in malo modo.
Ogni qualvolta dalla campagna nella quale ha la sua dimora si reca in cittàvi arriva che non èancora l’alba e attende di accedere in bancheuffici e negozinel primo bar in funzione che trova.
Si può affermare che non ha ricevuto istruzione alcunama supplisce a questa mancanzacon la sua acuta intelligenzaesperienza e … gran furbizia. Possiede un discreto numero d’ettari di terrenosui quali alleva le sue bestieche poi vende nelle fieredove si recainfallibilmente ogni settimana.
Soggiorna più nella stalla che nella casa colonica e detta anarchia d’oraricausa la disperazione della moglie.
Ha cresciuto una numerosa famiglia esoprattutto ha raggiunto una ragguardevole età senza grossi problemi di salute.
Nella vitas’affermapoi che per riuscire occorra il famoso “pezzo di carta” (titolo di studio).
(Inedito)
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NICOLINO

“ … Eccolo lìcostuinel suo camposotto il Sole a picco del mese di luglio che dardeggia fuoco sulla Terra riarsa;
L’afa soffocante l’avvolgevama lui pareva non avvertirla. Stoicoquasi immobileattendeva con la zappa in mano che il rivolo d’acqua riempisse il solco.
Soltanto alloralui si spostava per deviare quel liquido alimento in un altro arido canale;
Così per innumerevoli volte il giorno: dalle brumose albe agli infocati tramonti.
Neppure per il pasto del mezzogiorno lui interrompeva il lavoro: mangiava come il suo somaro … in piedi.
Nicolino era sempre lìsul suo campo come un allampanato spaventapasseri;
Mi provocavaquasi una crudele stizza e con lo sguardo avrei voluto farlo stramazzare al suolo affinché lui interrompesse quella che per me era una tremenda tortura.
Per alcuni mesi l’annonon v’era volta che affacciandomi sulla soglia della porta di casa mia o ad una finestra della stessaprospicienti il campoegli non fosse impalato al suo “posto di combattimento”;
Soltanto i violenti scrosci di pioggia che lo sostituivano nella cura del terrenolo costringevano ad allontanarsi da questo.
Non esistevano per Nicolino giorni festivi: per lui erano tutti feriali;
Soltanto il gran maestrale che domina la valle ove è posto il suo campo gli facevano interrompere la fatica: io l’ho vistotraballantecon le vesti che parevano strapparglisi di dossoresistere imperterrito alla furia di quell’elemento.
Devoin tutti i modiriconoscere che la metamorfosi di un campo arido e sassoso in un’estensione rigogliosa e verdeggiante di pianteè splendida e gratificante.
Non sono informato quanto rendanoeconomicamente quelle piantagionima asserisconobene;
Certo è che Nicolino non mostrò mai un cambiamento radicale in meglio nel tenore della sua vita.
Quanto affermato avantisi ripeté per tanti duri anni e il tempo pareva non incidere sul suo fisico asciuttocoriaceo e sul volto abbronzato e inciso dalle intemperie;
Un giornoperò Nicolino non comparve più sul suo campo … era crollato di botto!
… “.
(Dal mio romanzo inedito “Fil de Fer”
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PER SILVIA MELIS

Penso a te fragile donnaschiava di gente senza cuoreanzi di belve umane.
Mi pare di vederti in fondo ad un celato anfrattoin una segreta ed oscura grotta o in una tenda piantata in un’anonima costruzione;
Accucciata su di un duro giaciglio con le membra e il cervello intorpiditi e l’umidità che ti entra nelle ossa.
Il tempo viaggia molto a rilento e tu ti accorgi del suo scorreresoltanto perché esso è scandito dal ritmo dei pasti o quando soddisfi un’esigenza fisiologica;
Ti concedono di lavarti un po’sotto la violenza dei loro sguardi carichi d’insano desiderio.
La fiducia nei tuoi cari va sempre più scadendoperché i banditi assicuranomalvagiamente che loro non intendono pagare il riscatto;
Non credere alle loro parole! Altrimenti t’invischieranno in un diabolico piano e senza volerlo ti ritroverai ad essere loro complice morale.
Potrai persino arrivare a nutrireinconsciamente della simpatia per loro enonostante la sofferenza continua a mantenere la fede in Dio e negli uomini della Giustizia terrena;
Tieni sempre in mente il pensiero di un figlio che ti attende e che ha necessiì¥Á Y ¿ 9N 
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CORBEILLE












BRANI DI PROSA D’ARTE
O POETICA
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PREFAZIONE
Scorrendo la copertinasi sarà rimasti forse sorpresi nel costatare il genere di letteratura contenuta nell’opera che ricopre: “BRANI DI PROSA D’ARTE O Poetica”.
Per molti giovani suonerà una classificazioneassolutamente nuovama non è così.
Si riportaperciò quanto scrive l’erudito Teodoro Giuttaridirettore letterario di un’importante casa d’edizioni con una sua datata Milano22 giugno 2001:
“ … La prosa d’arte è nella tradizione della letteratura italianasoprattutto del Novecento.
Qualcuno all’estero afferma che noi italianipiù che grandi narratori (romanzieri)siamo appunto autori di prose d’arte che sono state definite anche elzevericapitoliavvisi della fantasiaframmenti eccetera. La gloriosa rivista letteraria La Ronda (1919-1923) si caratterizzò come la sede in cui si pubblicavano sì¥Á Y ¿ 9N 
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CORBEILLE












BRANI DI PROSA D’ARTE
O POETICA
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PREFAZIONE
Scorrendo la copertinasi sarà rimasti forse sorpresi nel costatare il genere di letteratura contenuta nell’opera che ricopre: “BRANI DI PROSA D’ARTE O Poetica”.
Per molti giovani suonerà una classificazioneassolutamente nuovama non è così.
Si riportaperciò quanto scrive l’erudito Teodoro Giuttaridirettore letterario di un’importante casa d’edizioni con una sua datata Milano22 giugno 2001:
“ … La prosa d’arte è nella tradizione della letteratura italianasoprattutto del Novecento.
Qualcuno all’estero afferma che noi italianipiù che grandi narratori (romanzieri)siamo appunto autori di prose d’arte che sono state definite anche elzevericapitoliavvisi della fantasiaframmenti eccetera. La gloriosa rivista letteraria La Ronda (1919-1923) si caratterizzò come la sede in cui si pubblicavano sì¥Á Y ¿ 9N 
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CORBEILLE












BRANI DI PROSA D’ARTE
O POETICA
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PREFAZIONE
Scorrendo la copertinasi sarà rimasti forse sorpresi nel costatare il genere di letteratura contenuta nell’opera che ricopre: “BRANI DI PROSA D’ARTE O Poetica”.
Per molti giovani suonerà una classificazioneassolutamente nuovama non è così.
Si riportaperciò quanto scrive l’erudito Teodoro Giuttaridirettore letterario di un’importante casa d’edizioni con una sua datata Milano22 giugno 2001:
“ … La prosa d’arte è nella tradizione della letteratura italianasoprattutto del Novecento.
Qualcuno all’estero afferma che noi italianipiù che grandi narratori (romanzieri)siamo appunto autori di prose d’arte che sono state definite anche elzevericapitoliavvisi della fantasiaframmenti eccetera. La gloriosa rivista letteraria La Ronda (1919-1923) si caratterizzò come la sede in cui si pubblicavano sove ci troviamo:
La giornatain ogni modo si presenta buona.
Si cantasi scherzasi corre sulla battigiasi gioca con la sabbiasi raccolgono conchiglie e il tempo scorre felice e veloceanche se nel Continente la guerra èancora in atto:
Incosciente gioventù!
S’approssima l’ora del pranzo e data la penuria di scorte di viveri che possediamodecidiamo di cucinare i polpi;
Janot rimedia al problema della pentola con un gran barattolo di pomodoro vuoto che utilizza per rabboccare d’acqua il radiatore del camion.
Tiriamo a sortecol sistema di chi per primoprovocando la caduta di uno steccopiantato in cima ad un mucchio di sabbia che dev’essere sottratta a turno un po’ per voltadeve accendere il fuoco ed assolvere le funzioni di cuoco.
Nel frattempoper ingannare l’attesanoi altri effettuiamo una lunga passeggiata sul bagnasciuga e quando ritorniamo alla baseil cuoco … s’è mangiato buona parte dei polpi:
Lo riempiamo di bottealle quali più tardi s’aggiunse … un tremendo mal di stomaco.
Mancò pocoperò che la giornata non finisse tragicamente: nel rientrare in barca da una gita all’isolotto della “Maddalenedda”in prossimità della spiaggiauno dei gitanti si getta in acqua per raggiungerla a nuotoma le forze non le sono sufficientinessun altro sa nuotare per prestargli aiuto e lui rischia d’annegare.
Giungiamo alla serastanchissimima felicinonostante una fame da lupi che ci attanaglia lo stomacostimolata dal clima marino e non saziata dai pochi viveri al seguito.
Ricorderò sempre d’averci contesoferocemente un pugno di patatine fritte e freddeavanzate dal mio pasto.
Serva ciò di monito ai giovani dei nostri giorni che nonostante l’opulenza nella quale vivonohanno sempre da lamentarsi della mancanza di qualcosa di superfluo e si preoccupinopiuttosto che non manchi loro il bene più prezioso:
“La pace fra i popoli”.
(Dal quotidiano “La Nuova Sardegna” di Sassari del 17 aprile 1998)
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UN AMPLESSO PROIBITO

“ … L’uomoparalizzato dalla sorpresa rimase ad ammirare estasiato la fanciulla svestita.
“Su! Pierre che aspetti? Spogliati! Anche tu!” Lo sollecitò Mariette;
Questa volta il giovane non si fece ripetere l’invito e con irruenzaquasi si strappò gli abiti di dosso.
Scoprì il suo possente torace ricoperto di una folta e scura peluriale larghe spallele muscolose bracciala sottile vitagli stretti fianchi;
I grossi e potenti polpacciatti a serrare in una morsa d’acciaio i destrieri che domava.
Le gambe leggermente più corte del normale erano arcuateproprie di chiha sempre cavalcato sin dalla più tenera età.
Mariette che nel frattempo s’era infilata a lettoquando ammirò il suo compagnocompletamente nudoalquanto eccitata esclamò:
“Accidenti! Pierrecredevo che soltanto lo stallone Fil de Fer fosse ben dotatomaanche tu non scherzi mica?”;
Poicostatato che il giovane continuava a star lìal centro della camera col sesso eccitatodibattuto fra il potente desiderio di possederla e la remora dell’immenso rispetto che nutriva per lei;
Unito alla voce della coscienza che gli affermava di noaggiunse:
“Su! Mi spieghi che attendi? Infilati nel letto che altrimenti tu t’infreddi!”. Il giovane ubbidì e si mise a giaceredi fiancoperò col volto rivolto alla parte opposta a quella dove stava la fanciulla: tremava tutto per l’emozione;
Mariette lo scosse e ordinò:
Pierre! Voltati! Non haiancora capito che io voglio essere posseduta da te?”
“No! Non è possibile! Mariette. Non pensi alle conseguenzese ti dovesse nascere un figlio? Ammettendoanche che ciò non avvengacome farai la prima notte di nozze al tuo sposo non illibata? Saresti ripudiata;
Rifletti sullo scandalo e sul dolore dei tuoi genitori!”.
Pierrefondamentalmente onestopur fremendo di desideriotentò di farla ragionare.
“Non M’importa niente! Me ne infischio di queste assurde regole. Te l’ordino … prendimi!”.
Pierreconsideratoche non v’era alcun’altra via d’uscita con quella testarda fanciulla che agiva come desiderava e non come la società di detti tempi esigevacarico di bramosia si voltò.
La prima voltatutti i maschi iniziano l’amplesso con furore e frenesia e nello stesso modo si comportò Pierre.
“Non così Pierre! Non comportarti come Fil de Fer! Mi fai male; ti sei scordato che io sono vergine? Spingi pian pianino!”. Implorò Mariette.
Seguirono soffocate grida di doloree poi mugolii di piacere e di voluttà:
“Si! Ora va bene Pierre! Puoianche andare su e giù. No! Non fermarti! Continuama non con troppa fretta”; raggiunserocontemporaneamente l’apice del piacere e giacquero sfiniti l’una nelle braccia dell’altro.
Ricuperate energieripresero più volte la cruenta lotta sino all’alba.
La prima a levarsi dal letto fu la fanciullache scosse colui fra le braccia del quale era stata per tutte quelle ore trascorseche però investì come una gelida doccia affermando:
“Pierre! T’assicuro che quel che è accaduto stanotte è stato splendido e io ti giuro che non me ne pentirò maima voglio anche avvertirti sinceramente di non crearti illusioniperché ciò non si ripeterà mai più! Da questo momento ritorna tutto come prima”.
Il giovane chinò il capoincassò la testa fra le spallecome colui verso il qualeè stato emesso un inappellabile verdetto e mormorò:
“Sarà come tu vuoi!”.
Poi bisbiglio un timido “grazie!
Si rinfrancarono in un antico lavabo con bacinella di ferro smaltatoutilizzando l’acqua contenuta in una capace brocca di terracotta e gli asciugamani di candido linoriposti a lato della stessa catinella.
Si rivestirono. La contadina che gli aveva ospitatioffrì loro una tazza di latte ben caldo addolcito col miele;
Pierrecompenso generosamente l’ospitalità e uscirono dal casolarelasciando come ricordo sulle ruvide lenzuolafra le quali erano giaciutiuna bella … macchia di sangue verginale … “.
(Dal mio romanzo inedito “Fil de Fer”)
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UN PERSONAGGIO D’ALTRI TEMPI: “IL FLANEUR”

“ … In piacere di costui era costituito dal passeggiare a casoin un deambulare ozioso e svagato per le vie della città con i nervi distesicon l’animo aperto e sorridentepronto agli incontri felicidel fermarsi davanti alle vetrine;
Ammirare donne favolosefischiare d’ammirazione alle modisteacquistare da un’incantevole fioraia un mazzo di violettesostare ad un caffèammirare la passeggiata al Bois de Boulogne ein Avenue des Acacias il passo e il trotto delle carrozze “Vittoria”;
Dei landau transitare per quattro file.
Sospirare per “le favolose” di quell’epocaLiane de PougyEmilienne d’Alençonla Belle OteroCleo de Merode e altre meno note.
Una figuraquella del “flaneur” che le nuove generazioni non ricordano … “.
(Dal mio romanzo inedito “Fil de Fer”)
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IL MERLOIL CONIGLIO E LA VOLPE

Un’insolitatriste e uggiosa giornata di primavera.
Una pioggerella fitta e sottile cade dal cielo imbronciato.
Il nero e vecchio merlo dal becco gialloda dietro la finestrella della stalla nella qual s’è rifugiatovede le goccierelline dell’acqua che picchietta sui vetririgarirli come le lacrime della Madonnina agreste cheoltre al dolore per il Figlio immolato – pare versarle per tutti i peccati dell’Umanità.

Il vigliacco conigliosbirciandonon sortisce dalla sua tana per tema che i sensi affievoliti dall’umiditànon percepiscano la scaltra volpe.
Certo che la codardia in lui non ha mai scarseggiato! Neppure quando il pur navigato merloacciaccato dagli anni e dalle cruente battaglie per la sua sopravvivenzacon le belle e poche penne oscure rimaste – che costituivano soltanto un piacevole ricordo – è rimasto incollato al vischio ed era sufficiente un piccolo aiuto per divincolarsiche lui non ha fornito. Fu così che lo sventurato uccellodivenne preda del più furbo animale e non poté più riprendere a “fischiare” – ai quattro venti - le verità di questo – talvolta – schifoso mondo.

Non s’attendaperòl’idiota coniglio che la perfida volpe gli restituisca il favore ricevutoperché essa non rispetta manco i compagni del proprio branco ese uno di loro cade colpito a mortenon muove neppure un pelo della sua pelliccia per prestargli soccorsoe forse salvargli la vita!
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A DUE AGOGNATE AMICHE

La nuda e fredda parete che davanti mi stava
Da qualche giorno non è più tale.
Essa ora risplende dell’accattivante sorriso
Rubato a due giovani e splendide donne.
Elle come due lucenti stelle
Sono comparse all’improvviso
Nella notte scura della mia stanca esistenza.
Vorrei tanto raggiungere
Il calore loro affinché potesse
Riscaldare un inaridito cuore.
Forse ciòperò è un impossibile sogno
Frutto di un desio irrealizzato
Assillante una lunga e travagliata esistenza.
Forse è una follia senileeppure
Quelle attraenti figure
Paiono risvegliare in me sensazioni che
Credevo ormai sopite per sempre.
Chimera fuggenteti prego!
Concedimi almenoseppure in immagine
Conoscendo i loro nomi indistinti
Di potermi appellare a ciascuna di loro
Con il proprio ese sospirare dovrò
Conoscere con certezza per chi?
Inedito
Un romantico sognatore.
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COLLI FIORENTINI

Splendidi colli di Firenzeche come un brillante diadema le cinge la fronte al nordla loro gratificante visione è ancora vividamente impressa nel mio ricordo.
Rivedo le romantiche stradine che s’insinuavano fra artistiche villelussureggianti parchistoriche cappelle gentilizieserene case di curavetusti conventilaboriosi casaliverdeggianti pratiopulenti frutteti e doviziosi orti.
Io le ho percorsea piedi quasi tutteversando sul loro suolo amare lacrime d’angosciosa disperazione chegradatamente riuscivo a convertire in sprazzi di speranza.
Loroè stata la mia miglior medicina che mi ha restituitola già forseirrimediabilmente compromessa salute.
In queste consolanti rimembranzenon posso però esimermi dal comprendere una seppure gracile fanciullache pur d’alleviare la mia solitudine con la suaì¥Á Y ¿ 9N 
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0 ø L L =2 œ ì | QP æêÀ < < c Ì 2 8 ANTONIO (Nino) MANCA









CORBEILLE












BRANI DI PROSA D’ARTE
O POETICA
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PREFAZIONE
Scorrendo la copertinasi sarà rimasti forse sorpresi nel costatare il genere di letteratura contenuta nell’opera che ricopre: “BRANI DI PROSA D’ARTE O Poetica”.
Per molti giovani suonerà una classificazioneassolutamente nuovama non è così.
Si riportaperciò quanto scrive l’erudito Teodoro Giuttaridirettore letterario di un’importante casa d’edizioni con una sua datata Milano22 giugno 2001:
“ … La prosa d’arte è nella tradizione della letteratura italianasoprattutto del Novecento.
Qualcuno all’estero afferma che noi italianipiù che grandi narratori (romanzieri)siamo appunto autori di prose d’arte che sono state definite anche elzevericapitoliavvisi della fantasiaframmenti eccetera. La gloriosa rivista letteraria La Ronda (1919-1923) si caratterizzò come la sede in cui si pubblicavano sì¥Á Y ¿ 9N 
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CORBEILLE












BRANI DI PROSA D’ARTE
O POETICA
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PREFAZIONE
Scorrendo la copertinasi sarà rimasti forse sorpresi nel costatare il genere di letteratura contenuta nell’opera che ricopre: “BRANI DI PROSA D’ARTE O Poetica”.
Per molti giovani suonerà una classificazioneassolutamente nuovama non è così.
Si riportaperciò quanto scrive l’erudito Teodoro Giuttaridirettore letterario di un’importante casa d’edizioni con una sua datata Milano22 giugno 2001:
“ … La prosa d’arte è nella tradizione della letteratura italianasoprattutto del Novecento.
Qualcuno all’estero afferma che noi italianipiù che grandi narratori (romanzieri)siamo appunto autori di prose d’arte che sono state definite anche elzevericapitoliavvisi della fantasiaframmenti eccetera. La gloriosa rivista letteraria La Ronda (1919-1923) si caratterizzò come la sede in cui si pubblicavano sì¥Á Y ¿ 9N 
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CORBEILLE












BRANI DI PROSA D’ARTE
O POETICA
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PREFAZIONE
Scorrendo la copertinasi sarà rimasti forse sorpresi nel costatare il genere di letteratura contenuta nell’opera che ricopre: “BRANI DI PROSA D’ARTE O Poetica”.
Per molti giovani suonerà una classificazioneassolutamente nuovama non è così.
Si riportaperciò quanto scrive l’erudito Teodoro Giuttaridirettore letterario di un’importante casa d’edizioni con una sua datata Milano22 giugno 2001:
“ … La prosa d’arte è nella tradizione della letteratura italianasoprattutto del Novecento.
Qualcuno all’estero afferma che noi italianipiù che grandi narratori (romanzieri)siamo appunto autori di prose d’arte che sono state definite anche elzevericapitoliavvisi della fantasiaframmenti eccetera. La gloriosa rivista letteraria La Ronda (1919-1923) si caratterizzò come la sede in cui si pubblicavano sil giovanile parto poetico davantial quale con una di quelle arcaiche e massicce matite a due tonalità di colorerimarcare con forza quelli chepotevano anche essere tolleratiingenui errori d’inesperienza perché non oggetto di richiesta di pubblicazione econ telefono a portata di voceenfatizzarli così come si comporta un cancelliere quando contesta all’imputato i reati da lui commessi. Fu allora che lo scanno sul quale poggiava il suo fondo della schiena e che io avevo idealizzato come il piedistallo della statua di una divinità paganaalla base della quale celebrare il suo ritocrollò e si sbriciolò come una zolla d’arida terra.
Mi balenò allora nella mente il dubbio che ella non fossecome voleva dimostrareuna fedele e devota cultrice della musa Polimniabensì di quella concezione mitologica rappresentata dal dio Mercuriotutta tesacome apparea condurre felicemente in porto i suoi affaricomprendendo nei barattiaddirittura qualche investitura di toga e spada benevolmente concessa da uno stato stranierodove i suoi meriti che indubbiamente detiene sono molto apprezzatianche se ciò richiama alla mente la famosa vendita delle indulgenze di luterana memoriache tanto danno arrecò alla Chiesa Cattolica.
Inedito
Colui che fu un tuo sincero e devoto amico.
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NIENTE PER IL QUALE VIVERE
I
Vorrei annegare il mio amore per lei nel buio eternoin modo che mai più riemerga.
Nelle sere uggiosequando una lancinante nostalgia m’affligge erovisto tra la polvere ed i miei ricordinon c’è un istante che io non la rimembri: lei è sempre lìvividache m’attende.
Nel frattempodietro i vetri di una finestrasulla quale la pioggia lascia cadere le sue gocce che lo rigano con dei rivoli che tanto somigliano alle lacrime che scorrono sul mio volto triste: piango come un bimbo ammalatoma io singhiozzo per lei anche se il mio amore corre invano sui binari della sua indifferenza.
Ritornello
Or danzano nel mio cuore dolci note e avvincenti storie dei giorni felici trascorsi insieme.
Chiudo gli occhi e io continuo a sognare: pur se indietro tornare più non potrò
II
Mi ritrovo a camminare per strada ripensando all’ennesima illusione; all’ultima storia ormai finita.
A due ragazzi che percorrendo la loro ancora lunga strada della vitafurono spazzati via da irresistibili folate di gelido ventolasciando i loro cuori colmi di ghiacciotroppo deboli od orgogliosi per ammettere d’aver contatoforse troppol’uno sull’altro.
Ritornello
Ora danzano …
III
Ti amo più della mia stessa vita enel caso la sorte avesse deciso che la mia esistenza fosse priva di te: allora è meglio che miri diritto al mio cuore e … premi decisa il grilletto!
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ATTESA

Da studentello innamoratosostavo a lungo nella vetusta stradinaper vedere apparirecol cuore in tumultonella cornice di una sconnessa finestrail volto sorridente di un’incantevole fanciulla.
Era sufficiente un fuggevole gesto di saluto per colmare di gioiail mio ingenuo cuore trafitto dai dardi dell’amore. 
Quella suscitata speranzami fu però carpita da un rivale più quotato di me fisicamente; immensa fu la mia delusione eil giorno che convolarono a nozzeio sentii un artiglio squarciarmi il petto e strapparmi il cuore.
Or che sono un uomo “navigato”pur temprato da non felici esperienze umaneattendo ugualmente con trepidazionedavanti ad un luminoso riquadro elettronico la comparsa di virtuali parole e spero che queste non tradiscano ancora la vivida speranza che una mia creatura letterariaforse la più amataconcepita da un’ancoragrazie al Signore prolifica mentesia adottata da altricertamente straordinari e veramente sensibili artistiche possono consentirle di vedere la luce letteraria eforse conquistare la vetta del relativo Parnaso.
Prego perciò il Buon Diod’evitarmi una di quelle brucianti delusioniche ogni tanto tentano di trascinarmi dentro l’orribile buio di un tunnelda cui è spesso difficile uscire. 
Il romantico sognatore.
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A Pietro

Non significa oblio il mio silenzio!
Sono soltanto gli affanni della vitatumultuosi in questi ultimi giorni che non mi hanno consentito di tradurre in parole scritte il mio costante pensiero per un umanogiovane e robusto virgulto che speranzoso s’affaccia all’alba della vita.
I suoi pensieri non possono che essere colmi di speranzadi meravigliosi sogni per un radioso avvenire.
Quale stridente contrastoinvecefra i deprimenti parti della fantasia di un “pover’uomo” che ogni giornoun tantino di piùsente sfuggire alla vita! Sì colma di sublimi gioiema anche di tante amarezze.
Oggi è festama io non ho nessuno con me per festeggiarla.
Neppure l’agresta natura che mi circondacostituita dal suo prorompente e rigoglioso risveglioche pare un solenne inno di ringraziamento al suo Creatore per averla concepita così bellariesce a diradare le brume del mio cupo stato di solitudine.
Mio caro e fanciullo amicoperciòcogli tu ora e fai tesoro di tutto ciò che il Buon Dio ti dona: forse il suo ricordoun giorno del tuo tramonto (che esso sia il più tardo possibile) t’aiuterà a sopportare meglio le angosce del declino. 
Il tuo sincero e vecchio amico Nino. 
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INDICE
PAG.
PREFAZIONE…………………………………...……2 PRESENTAZIONE……………………………...……8
1- A DIANA……………………………………….….10
2- CARMELA…………………………………………13
3- GALOPPO…………………………………….…...17
4- GLI EMIGRANTI…………………………………19
5- IL DISTACCO……………………………………..21
6- IL PASTORELLO…………………………………23
7- IL RICCO E IL POVERO.………………………...26
8- IL SENSO DELLA SEDUZIONE.………………..30
9- IL TRENO DEI BAGNANTI……………………..33
10- IL TRENINO DI MONTAGNA………………....36
11- LA BUFERA……………………………………....38
12- LA CASTELLANA……………………………….40
13- LA CHIESA DI S. PIETRO IN SILKI…………...42
14- LA MORTE DI MARIETTE……………………..44
15- LA PARTIGIANA………………………………..46
16- LA RACCOLTA DELLE MESSI………………....50
17- L’ASTORE………………………………………..53
18- LA TELEVISIONE……………………………....55
19- L’AVELLO……………………………………….57
20- LA VENDEMMIA ANTICA…………………….61
21- LETTERA AD ANNA…………………………...63
22- LO ZIO OVIDIO………………………………...66
23- NICOLINO………………………………………69
24- PER SILVIA MELIS……………………………...72
25- POST VEGGENZA……………………………...75
26- SILENZIO……………………………………….78
27- TRANSUMANZA………………………………..79
28- UNA GIORNATA AL MARE…………………...81
29- UN AMPLESSO PROIBITO…………………….85
30- IL FLANEUR…………………………………….90
31- IL MERLOIL CONIGLIO E LA VOLPE……...92
32- A DUE AGOGNATE AMICHE………………....94
33- COLLI FIORENTINI……………………………96
34- FIRENZE………………………………………...98
35- LETTERE ADUN’AMICA……………………..100
Pag.
36- NIENTE PER IL QUALE VIVERE……………106
37- ATTESA…………………………………………108
38- A PIETRO……………………………………….110
FINE